Roma, giugno 2023: festa di fine anno scolastico promossa dall’Ass. genitori Amici dell’Ics La Giustiniana che da diversi anni vive un’importante esperienza di scuola aperta partecipata
Le tre solitudini di ragazze e ragazzi, insegnanti e famiglie
Chiunque cerchi di migliorare la qualità culturale del territorio e di ricomporre le relazioni sociali è un alleato indispensabile per chi nella scuola non rinuncia a battersi contro ogni forma di discriminazione, consapevoli che la scuola deve sforzarsi di essere prima di tutto un luogo di costruzione culturale lenta. Di certo occorre proteggere i diversi tentativi di costruzione di comunità educanti locali che stanno dando risultati interessanti contro l’abbandono scolastico: c’è bisogno ovunque di ristrutturare piazze, fare delle biblioteche dei punti di ritrovo, aprire spazi per attività sportive o espressive, tenere aperte le scuole il pomeriggio con la partecipazione del territorio per ospitare proposte e laboratori.
Un gruppo di studenti di un liceo di Terni, rispondendo all’invito della preside di indicare possibili miglioramenti per la loro scuola, ha proposto di istituire uno psicologo bidello. Uno psicologo sempre presente, in corridoio, che si possa interpellare al momento del bisogno senza passare al vaglio di insegnanti o genitori. Tra bidelle e bidelli, come gli studenti chiamano il personale ATA, ci sono talvolta figure che incarnano un’attenzione curiosa verso la vita di ragazze e ragazzi e che sanno entrare in relazione con loro al di là degli esiti scolastici.
Proviamo a prendere sul serio questa espressione ingenua di un bisogno, questa piccola provocazione al mondo adulto.
Un numero sempre più ampio di studentesse e studenti hanno un evidente bisogno di aiuto. Se ascolto una ragazza di seconda media che dice “mi taglio le braccia per soffrire meno”, se assistiamo a una moltiplicazione geometrica di casi gravi che si presentano alle Asl e ai centri di igiene mentale, se crescono a dismisura disturbi dell’alimentazione e forme di autolesionismo o di isolamento e chiusura totale, non possiamo non pensare che qualcosa va ripensato con radicalità e urgenza nella scuola, perché la scuola è il principale e spesso unico luogo pubblico di incontro tra le generazioni. Questo stato di sofferenza diffusa, tra l’altro, colpisce ogni regione del nostro paese e ogni strato sociale.
Il decennio della cura
Nei mesi che seguirono la fase più acuta della pandemia ci siamo trovati a ragionare sulla necessità di inaugurare un decennio da dedicare alla cura. Cura delle persone, a partire dai più giovani, che avevano subito l’isolamento domestico e ad erano stati costretti a considerare il contatto come contagio con conseguente avvilimento del corpo, in una età in cui il corpo è primario ed essenziale luogo di conoscenza e desiderio. Intorno al corpo e alla percezione di sé, tra l’altro, si stanno giocando negli ultimi anni sommovimenti profondi nelle nuove generazioni, i cui sintomi vanno dall’esplosione delle tematiche di genere a nuove inibizioni che accompagnano relazioni vissute frequentemente solo a distanza. Il paradigma della cura non riguarda tuttavia solo il corpo e la salute dei singoli, ma la relazione con l’intero pianeta ferito, i cui gli equilibri sono a rischio per via di cambiamenti climatici, avvertiti dalle nuove generazioni con maggiore sensibilità come pericolosi e devastanti. C’è poi la relazione con la città e gli spazi urbani, in troppi luoghi percepiti come inospitali e respingenti, perché accrescono la fatica di relazioni reciproche sempre più attraversate da chiusure, diffidenze, aggressività crescenti.
Ciò che per qualche tempo era apparso come un momento di svolta e di presa di coscienza dell’insostenibilità dei nostri modi di vivere e abitare la terra, all’inizio della pandemia, nelle settimane in cui sembrava prevalere la solidarietà, nel sostenere ad esempio la grande fatica che ha comportato per tutti la scuola a distanza, si è dissolto velocemente. Come ci siamo liberati dalle mascherine c’è stata una rimozione collettiva pressoché assoluta di ciò che era accaduto, mentre a livello individuale ragazze e ragazzi e bambine e bambini anche piccoli, si sono trovati a dovere affrontare in solitudine le conseguenze profonde di un trauma che aveva sconvolto per diverse stagioni il loro quotidiano alterando il loro immaginario. A tutto questo si è aggiunta una guerra percepita come vicina, dal momento in cui la Russia di Putin ha invaso l’Ucraina. E la guerra, con la sua brutalità e palese assurdità, è la peggiore offesa che si possa fare all’infanzia perché un bambino, che vede alla televisione le conseguenze di un bombardamento scoprendo che non è finzione, non può non esserne colpito e offeso. Radere al suolo una casa, uccidere bambini e donne e innocenti di ogni età è un comportamento adulto che interroga e terrorizza i più piccoli. Invade i loro sogni e li agita.
Articolo tratto da comune-info.net di Franco Lorenzoni 03 Settembre 2023
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